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L’uomo, la sua misura

La splendida e raffinata Atene, sul finire del suo secolo d’oro, si prepara ad affrontare un progressivo declino; la guerra del Peloponneso l’ha vista sconfitta, epidemie e povertà hanno decimato la popolazione e prevale il disinteresse verso le leggi degli uomini e degli dei, come è costretto ad ammette lo storiografo Tucidide. A tali circostanze, l’esortazione dei sofisti Protagora, Gorgia e Crizia è di essere realisti, ma con qualche differenza.

Aphrodite detta Venere di Arles, copia romana di epoca augustea di un originale greco del IV sec. aev. © 2006 Musée du Louvre / Daniel Lebée et Carine Deambrosis

Maestri di virtù

Insieme alla disfatta militare, Atene conosce anche quella sociale. I cittadini denunciano la corruzione dei politici, i valori del passato (da Omero ed Esiodo erano passati 300 anni) si appannano, come la fiducia nell’incontestabile volere di Zeus; e in molti credono che ormai rinunciare all’onestà sia la sola cosa che paga, come il disilluso protagonista del Pluto di Aristofane.

Tre variazioni sul divino

La classe dirigente rappresenta gli ambienti reazionari, estranei alle esigenze dei cittadini dall’alto delle loro cariche prestigiose e degli esclusivi circoli di potere. Protagora era un personaggio molto influente nella fazione democratica, avversata dal governo conservatore dei Quattrocento. Impegnato nell’insegnamento, viaggiò per tutta la Grecia e ottenne vasti consensi soprattutto tra i giovani e la “middle class”. Di questa intensa attività rimangono alcuni frammenti, il più noto del quale è un’affermazione perentoria (la riporta Platone nel Teeto, 152a):
πάντων χρημάτων μέτρον’ ἄνθρωπον εἶναι, ‘τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστι, τῶν δὲ μὴ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν.

L’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono.
Nella stessa maniera incisiva affronta il divino: “Non so se esistano gli dei, perché non ho la possibilità di accertarmene”. L’argomento è oscuro, e la vita umana è troppo breve. Nelle gare di retorica vinceva chi riusciva a dominare, eccitare, soggiogare il pubblico. I contenuti non sono quelli degli eleganti circoli di dialettica, ma riguardano la sfera carnale e corporea delle passioni umane. Anche il linguaggio si adegua e si volgarizza per essere comprensibile. Gorgia era originario di Lentini, in Sicilia, ed era un oratore di apprezzata bravura. In un discorso finemente ironico di Encomio a Elena, dietro l’apparente frivolezza dell’argomento è contenuto un appassionato elogio della parola poetica, “capace di compiere le cose più divine”. Il suo incanto seduce l’anima ma è un potere ambiguo, come la natura stessa della magia (goetéias e maghéias), come un fármakon che può essere sia medicina che veleno.

Tensioni intellettuali

Più pragmatico il giovane Crizia; impegnato nella polemica contro gli aspetti “borghesi” e convenzionali dell’opinione corrente, esprime con decisione il suo netto rifiuto verso qualsiasi spiegazione soprannaturale: la religione esiste perché “qualcuno di ingegnoso e saggio ha inventato per gli uomini il timore degli dei”, l’oppio dei popoli ante litteram, uno strumento del potere, nient’altro che fantasie per il popolino.

La cultura greca comincia a non riconoscersi più nell’unità olimpica dell’epoca arcaica. A partire dal V secolo, l’interesse si sposta verso un progressivo intimismo: la religione diviene fatto privato, si frammenta in una miriade di culti di provenienza greca, romana, indoiranica, egizia, fenicia; negli ambienti di lusso di Roma e province partecipare a riti esotici e misteriosi è un divertente passatempo, l’ultima festa sul Titanic che affonda. A questo profondo cambiamento del pensiero greco contribuì, in parte, la sofistica e il suo ripensamento dei comportamenti etici e civili.

Per approfondire: M. Untersteiner, Sofistica e genio ellenico, 1971.

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