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Nient’altro che larve di sogni

Troia era destinata a cadere (“perché Roma potesse nascere”, sarà la sintetica formula virgiliana); Achille, attorno alla cui ira si era dipanato l’épos omerico, era morto e sua madre Teti aveva disposto che l’armatura del figlio, forgiata da Efesto, sarebbe andata in premio all’eroe che avesse dimostrato maggiori meriti durante la guerra. Interviene Atena in favore di Odisseo, volendone premiare l’astuzia e l’iniziativa.

Antonio Zanchi (1631-1722), La morte di Aiace,

L’eroe vulnerabile

Aiace era in rivalità con Odisseo, era geloso della sua vittoria che riteneva immeritata, ma non competeva con lui per ingegno e scaltrezza: nell’Iliade è descritto di figura gigantesca, con uno scudo alto quanto una torre; la sua natura era sfrenata e selvaggia, rapace come l’aquila di cui porta il nome nel depredare e razziare con avidità senza limiti. 

Ma, soprattutto, non si interessava degli dei: quando Troia era caduta e Cassandra si era rifugiata presso la statua di Atena, egli la rovesciò senza curarsi dell’empietà del suo gesto. Ma un sacrilegio così oltraggioso non rimase senza conseguenze.

L’eroe folle

Sofocle, nel suo stile equilibrato ed elegante, ci racconta l’epilogo della storia e la fatale punizione degli dei.

In campo acheo, Aiace medita vendetta; vuole sorprendere i compagni, di notte, e massacrarli per riscattare con la violenza – l’unico modo che conosce – quella che per lui è un’intollerabile offesa al suo orgoglio. 

Di nuovo interviene Atena che, per evitare un’inutile carneficina, confonde la sua mente e i suoi sensi, facendogli scambiare innocui armenti per i suoi presunti nemici. Aiace si scaglia contro le greggi, furente di soddisfazione rabbiosa, credendo di far strage di Achei. 

Quando scoprirà l’inganno e comprenderà la portata della sua punizione – comportarsi in quel modo insano e grottesco, davanti allo stupore imbarazzato di tutti –, non resterà che il suicidio per liberarsi da una umiliazione così bruciante.

Il dialogo tra Atena e Odisseo, mentre Aiace ancora ignaro infuria sugli indifesi animali, si svolge con amara e impotente lucidità. Odisseo è l’eroe dall’animo profondamente umano che dell’umanità comprende e rispetta le debolezze, e ne ha pietà.

Atena. Vedi, Odisseo, la potenza degli dei come è grande? [...]
Odisseo. [...] Il destino di questo infelice mi addolora, anche se è mio nemico. Lo vedo piegato sotto una grande sventura, e nella sua sorte vedo anche la mia. Qui vedo che noi tutti che viviamo non siamo nient’altro che larve di sogni, ombre vuote.
Atena. E dunque se tu vedi questo, non dire mai parola superba contro gli dei, non sollevarti a orgoglio mai [...]. Basta un solo giorno per innalzare e abbattere le cose umane. (Aiace, 118 ss.)

(Leggi anche: L’uomo, la sua misura. Tre variazioni greche sul tema del divino)

(J. Kott, Divorare gli dèi. Un’interpretazione della tragedia greca, 2005; K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, 2002; trad. di Enzo Cetrangolo, in C. Diano (ed.), Il teatro greco, 1970; K. Reinhardt, Sofocle, 1989.)

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