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Storia di un povero diavolo. Il Belfagor di Machiavelli

La novella umoristica di Belfagor arcidiavolo, scritta tra il 1512 e la fine degli anni ’20, inizia all’Inferno. Questo regno ordinato e sobrio, così lontano dalle chiassose pulsioni umane, viene scosso dalle continue lamentele dei dannati che si dolgono con i loro tormentatori per colpa delle donne, dalle quali affermano di essere stati rovinati.

Se ne meravigliano Minos e Radamante (insieme a Eco, sono i giudici nel mondo dei morti secondo la tradizione greca; Radamante compare già in Omero come governatore dei Campi Elisi; cfr A Homeric Dictionary), e “non potendo credere a queste calunnie” fanno rapporto a Plutone il quale raduna in consiglio tutti i prìncipi infernali, per esaminare la cosa.

Il Diavolo è un gentiluomo

Plutone è l’Ade romano, sposo di Proserpina e fratello di Giove e Nettuno; “per celeste disposizione et fatale sorte (...) irrevocabile” è il sovrano di un regno che “è sempre vissuto senza infamia”, e affronta la questione con onesto e coscienzioso raziocinio: se quel che dicono gli uomini è una menzogna e i diavoli ci credessero, sarebbero dei creduloni e peccherebbero di leggerezza; se al contrario fosse la verità e i diavoli non ci credessero, commetterebbero un’ingiustizia. Occorre dunque che uno di loro vada a vivere “nel mondo” per verificare, e non essendovi nessun volontario “la sorte cadde sopra Belfagor arcidiavolo”, ex arcangelo prima della caduta, che si dispone a eseguire quanto era stato deciso: avrebbe preso moglie e vissuto con lei per dieci anni — poi, fingendo di morire, se ne tornerebbe all’Inferno a fare dettagliato rapporto ai superiori. Le ultime raccomandazioni riguardano tutti i mali e le sventure a cui sarà soggetto sulla terra e nei quali tutti gli uomini incorrono — povertà, prigione e malattie, “se con l’inganno o con l’astuzia non siano capaci di liberarsene”.

Nicholas Roerich, Pater Devil, 1912. Via Wik Art

Con 100mila ducati in tasca e con l’aspetto di un bellissimo uomo sui trent'anni di nome Roderigo di Castiglia, si finge un avventuriero spagnolo che aveva trovato fortuna in Oriente, ad Aleppo, ed era arrivato in Italia per “prender donna in luoghi all’animo suo più conformi”. Per il suo soggiorno mondano sceglie una casa in affitto nel Borgo d’Ognisanti a Firenze, dove entra con tutti gli onori insieme a una rappresentanza di diavoli “i quali in persona di famigli aveva condotto con sé”.

Bello, ricco, di indole “umana et liberale”, viene presto notato in società e molti nobili cittadini vorrebbero concedergli le proprie figlie; ma Roderigo si innamora “fuori di misura” di una splendida fanciulla di nome Onesta Donati, di famiglia nobilissima e rispettata, ma ridotta in povertà. Le nozze sono magnifiche, ogni desiderio viene esaudito; Roderigo dà inizio alla sua vita coniugale godendo di tutti i piaceri e guidato dalle passioni umane a cui era obbligato a soggiacere. Ma l’amore di una donna e il rispetto del bel mondo costano denari, e sono entrambi ingannevoli. Onesta si rivela infatti bella d’aspetto quanto insolente, “villana e ingiuriosa”, d’una superbia “che non ne ebbe mai tanta Lucifero” (“e Roderigo, che aveva provata l’una et l’altra, giudicava quella della moglie superiore”). Con il tempo le cose peggiorano, lei lo comanda senza alcuna pietà né rispetto e ancora Roderigo sopporta con pazienza. Costretto a spendere grosse somme di denari persino per i fratelli di lei, ai quali deve pagare le nozze, è ridotto sul lastrico e, inseguito da creditori e magistrati, fugge a piedi “per li campi a cercare la sua fortuna”.

Nella fuga si imbatte in Gianmatteo, un contadino che stava riportando i buoi nella stalla e gli promette fortuna e ricchezza se lo avesse aiutato a nascondersi; e così, “cacciato in un monte di letame” che si trovava davanti casa, Roderigo si salva e mantiene la parola, escogitando un piano: il demone si sarebbe impossessato di innocenti fanciulle e si sarebbe fatto scacciare solo da Gianmatteo, che così avrebbe acquisito fama di potente esorcista. Dopo pochi giorni si sparge a Firenze la notizia che la figlia di un certo gentiluomo è indemoniata: “parlava in latino et disputava delle cose di philosophia et scopriva i peccati di molti” assicura l’autore, cioè si trattava di una possessione vera e non solo di una “fantastica immaginazione”. Provati invano molti rimedi, si presenta l’animoso contadino promettendo la guarigione della ragazza per 500 fiorini. Il miracolo avviene, “con piacere et ammirazione di tutta Firenze”, ma questo non basta a farlo ricco e i due sodali ne escogitano un’altra. Questa volta la vittima è la figlia del re di Napoli, e di nuovo l’esorcismo di Gianmatteo ha un buon esito dopo innumerevoli tentativi falliti. Questa volta Roderigo lo avverte: il patto è sciolto, il demone non è più tenuto a fare niente per lui, ciascuno per la sua strada.

Ma presto si sparge la voce della possessione della figlia del re di Francia, e a nulla valgono le scuse del povero contadino per sottrarsi all’incarico. Viene condotto a forza al cospetto della spiritata sotto la minaccia della forca, “humilmente si raccomanda a Roderigo”, ma l’arcidiavolo sembra essere stufo delle questioni umane — forse scambia per ingordigia e vanità l’insistenza di Gianmatteo, che è così costretto a salvarsi con l’astuzia. Prega il re di organizzare una imponente manifestazione pubblica alla presenza di tutta la nobiltà e di tutto il clero, ospitati su “un grande palco drappeggiato di seta e d’oro”; in mezzo si disponga un altare dove, celebrata prima una solenne messa, si conduca l’indemoniata. E infine una banda con trombe, corni, cembali, cornamuse, tamburi e ogni sorta di strumento rumoroso. Quando, “per mano di due vescovi et molti signori”, la principessa viene condotta all’altare e la banda inizia a suonare, avvicinandosi, Belfagor lo schernisce: “io sono uso a vedere le pompe del cielo et le furie dello Inferno”, crede questo villano di poterlo impressionare con i suoi trucchi? Ma Gianmatteo, “che ne seppe una più del diavolo”, assume un’aria turbata gli dice che si tratta della moglie che lo viene a cercare. Bastano queste parole perché il demone lasci all’istante il corpo della ragazza e se ne fugga spaventato all’Inferno, dove racconterà dei “fastidi, dispetti et periculi” che comporta “sottoporsi al giogo matrimoniale” e di quanti “mali conduce in casa una moglie”.

La ricchezza ostentabile

La misoginia che trabocca da questo racconto non era esclusiva di Machiavelli né della popolazione maschile fiorentina, e il matrimonio poteva essere un vantaggio per entrambi i coniugi e non, necessariamente, fonte di guai (e infra, N. Capponi, Il principe inesistente. La vita e i tempi di Machiavelli, Il Saggiatore, 2012). Se è vero che il giovane Niccolò soffrì dei debiti che il padre fu costretto a contrarre per sposare la sorella Primavera con il ricco Vernacci e non dover sfigurare rispetto al suocero — un investimento che sottolineava la posizione sociale di una famiglia e diventava anche una forma di spettacolo pubblico –, è vero anche che la vita coniugale del filosofo fiorentino non fu così disastrosa e ne ebbe forse più la moglie a lamentarsi di lui, che non viceversa: a 32 anni, un lavoro prestigioso e un buon stipendio, sposa Marietta Corsini con grande vantaggio dei Machiavelli, rispetto ai quali la famiglia di lei era un gradino superiore. Cosa ne pensasse Marietta, e se il matrimonio sia stato per lei allettante, lo possiamo immaginare: gli affari di Stato vengono prima della famiglia, “finché fu funzionario della Cancelleria era assente per lunghi mesi e la moglie restava sola a mandare avanti la casa, compito impegnativo per chi, come loro, non disponeva di un significativo aiuto domestico”. In una lettera dai toni concilianti e preoccupati, mentre è a Roma per lavoro e saputo che in città circola un brutto morbo, “non mi dileggiate”, gli scrive, “non trovo riposo né dì né notte”.

Il soggetto della novella non è propriamente religioso, piuttosto un invito alla riflessione sul tema della vanità (e del potenziale distruttivo di un impegno troppo gravoso) nel quale si inserisce il topos narrativo del diavolo aristocratico che viene imbrogliato dalla scaltrezza di un popolano (e infra, K. Hollo, Machiavelli in Mullach an Rátha Belphegor folklore and anticlericalism, Scottish Gaelic Studies 24, 2008).

Ascesa e declino

La novella machiavellica ebbe grande seguito e fortuna letteraria a partire dal Cinquecento (la prima edizione londinese in italiano è del 1588) fino all’exploit settecentesco di traduzioni, versioni e adattamenti per il teatro. Il tema del Diavolo che concede la fortuna a un povero paesano è largamente diffuso nel folklore europeo, come costante sembra l’associazione tra gli Inferi e la ricchezza (conformemente al Pluto greco), che si immagina nascosta sottoterra, nelle cave e nelle grotte. Tuttavia, il senso di realtà del mondo magico-demoniaco sembra tramontare rapidamente tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVIII; i riflessi letterari di questo declino sarebbero evidenti nello scarto tra la tensione tragica del Dottor Faustus di Marlowe (1604) e lavori di pochi decenni successivi che diventano pantomime, farse, parodie (The Life and Death of Doctor Faustus, made into a Farce, 1684 e l’operetta Harlequin Doctor Faustus, 1724, di Mountfort). è solo alla fine del secolo, dopo la Rivoluzione francese, che al Diavolo viene restituita una dignità persino eroica nella letteratura romantica di Milton, Blake, Shelley e Byron: fu Shakespeare, d’altronde, che prima di loro scrisse “The Prince of Darkness is a gentleman” (Re Lear,  atto III, scena 4).

Una figura mutevole

Nonostante la sua capacità di apparire sotto molte forme, il Diavolo si mostra spesso nelle sembianze di un aristocratico che ama trascorrere il tempo viaggiando, mentre nel folklore estone è un ricco possidente di origine tedesca (Saksa Jaak, Jaak tedesco), specchio di una netta divisone socio-economica tra la classe padronale, proprietaria delle terre e di provenienza straniera, e la popolazione locale; nelle varianti irlandesi il Diavolo è spesso descritto con un accento inglese, membro di quella classe privilegiata e oppressiva — protestante, rispetto alla popolazione cattolica — che con sfarzo ed eleganza afferma e conserva i propri vantaggi. 

La Favola di Belfegor è scaricabile su Liber Liber.

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