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Religione e potere nella Grecia micenea

Achei e Ioni erano i principali abitanti della penisola ellenica: gruppi tribali formati in seguito alle migrazioni di genti indoeuropee a partire dall’inizio del II millennio, fusi con le popolazioni indigene. “Micenea”, dal nome del più antico e più importante regno, è la cultura nata dai contatti tra le tribù elleniche e la raffinata civiltà cretese un secolo prima del suo declino. I Micenei conobbero il più alto prestigio nel XIII sec. aev, periodo a cui risalirebbero gli eventi bellici scatenati dalle lotte per la supremazia sul mare Egeo e narrati nei poemi omerici (S. Scalabrella, La mitologia classica, Studium, 1989, pp. 19-24).

Una dea o una sacerdotessa stringe degli steli di grano, Micene. Fonte

Non è accertata una effettiva continuità tra la religione micenea e quella greca, nonostante il fattore linguistico comune, così come la cesura sarebbe per alcuni persino “profonda e abissale tra la religione greca arcaico-classica e quella ellenistica  del III-I sec. aev (cfr. W. Burkert su A. Brelich in La religione greca di epoca arcaica e classica, 2003, p. 39).

La religione micenea, specchio di una società fortemente gerarchica, sembra presentare delle strettissime relazioni con il potere esercitato dal signore (wanax) del palazzo (megaron); e anche se non si volesse usare l’espressione “culto di stato” (difficile da applicare persino all’Atene classica, e comunque anacronistica all’Età del bronzo), la classe dominante interviene nelle questioni religiose e il suo coinvolgimento è pienamente accertato dalle testimonianze archeologiche e da quelle epigrafiche (R. Hägg, State and Religion in Mycenaean Greece, 1995). 

I testi riguardano solo un limitato arco di tempo verso la fine del “periodo del palazzo” (gli archivi micenei sono databili ai primi decenni del XIV secolo, e quindi agli inizi dell’ultimo periodo del Bronzo Tardo, L.A. Stella, La civiltà micenea nei documenti contemporanei, 1965), mentre le fonti archeologiche coprono una lunga fase del periodo del palazzo più una fase posteriore, successiva alla caduta.

I documenti

Le tavolette in lineare B ritrovate nei palazzi micenei, principalmente a Cnosso (Creta) e Pylos (Peloponneso, oggi conosciuta anche con il nome italiano Navarino), erano i registri dell’amministrazione finanziaria del palazzo e vi venivano riportate le spedizioni di materie prime e prodotti vari verso i santuari, qualche volta menzionando l’occasione di una particolare ricorrenza religiosa. 

Sacerdoti e sacerdotesse (designati come “schiavi del dio”) rientravano tra le persone che ricevevano i beni, ed esisteva un calendario rituale osservato anche a palazzo. il signore stesso potrebbe aver ricoperto la più alta carica sacerdotale se non, come suggerito, aver ricevuto un vero e proprio culto (Hägg, cit.).

Figurine votive. Fonte

Nomi di divinità e una libagione

Alcuni di questi documenti riportano le offerte e i sacrifici accanto al nome della divinità a cui erano rivolti, e offrono una lista di dei o loro appellativi. Su una pagina del Dipartimento di studi classici, Università dell’Arkansas, è riportato un elenco delle divinità micenee con i corrispondenti nomi greci: 
  • DI-U-JA è Zeus (Diwioios il nome di un mese; la stessa radice indoeuropea per “brillare” è presente nel vedico djeus e nel latino dies/deus, che diventa Jupiter come Zeus pater)
  • E-RA (Hera)
  • PO-SE-DOO (Posidone, conosciuto anche come E-NE-SI-DA-O-NE, che scuote la terra)
  • PA-JA-WO (Paian Apollo)
  • A-TA-NA PO-TI-NI-JA (Potnia Athena)
  • DI-WO-NI-SO-JO (Dioniso)
  • A-NE-MOI (i Vènti) 
e ancora le Erinni, Ares, un luogo chiamato Daidaleion e altre divinità locali identificate con il nome generico Potnia, signora. E ancora (documento #172 da Pylos, su cui è annotato un sacrificio in onore di PA-KI-JA-NA, fronte): Mnasa, Posidaeia (moglie di Posidone), il Triplice Eroe, il Signore della Casa, (retro, un sacrificio al tempio di Perse, Iphimedeia e Diwia) Hermes Areia, Drimios figlio di Zeus... 

In una sessantina di noduli (etichette) scoperti a Tebe negli anni Ottanta viene riportata una lista di animali spediti al santuario e destinati al sacrificio, al quale seguiva una libagione che si stima potesse essere destinata a un migliaio di persone: 16 pecore, 14 capre, 12 maiali, alcuni bovini e altri animali di piccola taglia — una tavoletta da Pylos registra lo stesso numero (e infra, Hägg, cit.).

L’archeologia 

Gli scavi (a Tirinto, per esempio) restituiscono quello che resta degli oggetti materiali della pratica religiosa, della quale si possono distinguere diversi livelli. Per l’intero periodo del palazzo e anche dopo, i culti “ufficiali” che coinvolgevano il palazzo prevedevano l’utilizzo di figurine antropomorfe e teriomorfe, modellini di carro, miniature di oggetti di arredamento, figure animali, contenitori, rytha (vasi e boccali) e terracotte di grandi dimensioni a cui si aggiungono, iconograficamente, gli affreschi. Un ricco e variegato insieme di oggetti rispetto a quelli rinvenuti nei siti ascritti al culto “popolare”, decentralizzato rispetto al luogo di esercizio del potere, dove troviamo solo ordinarie figurine di terracotta insieme a un repertorio limitato di manufatti destinati all’uso quotidiano.

Il palazzo era collegato con santuari e altri luoghi culto che, come a Micene, potevano trovarsi sull’acropoli; da qui partivano (e tornavano) le processioni, importante e diffusa pratica rituale. Che i megara micenei stessi ospitassero rituali religiosi associati con il wanax, nonostante l’assenza di oggetti di culto immediatamente riconoscibili come, ad esempio, statue a grandezza naturale, troverebbe conferma nei preziosi dipinti murali, in particolare quelli di Pylos, dove si vede una processione muovere dal vestibolo con un animale di grandi dimensioni (probabilmente un toro) verso la sala del trono.

Infine, sussistono alcuni particolari elementi collegati al megaron e al wanax come destinatario di una celebrazione che prevedeva una libagione, come il tripode sul quale si poggiavano le offerte e gli spazi dedicati al banchetto presso il trono, così come spiegherebbe, se ben interpretata, l’espressione to-no-e-ke-te-ri-o.

Testa in terracotta, forse una dea. Fonte

Il Palazzo delle feste

La decifrazione della scrittura lineare B e la ricostruzione degli affreschi — nei quali, conformemente alle fonti scritte, ricorrono particolari animali — avrebbero quindi confermato le prove archeologiche, permettendo di esaminare attraverso nuove fonti i motivi, gli scopi e l’organizzazione delle celebrazioni svolte nel palazzo (e infra, D. Wesolowski, Feasting at Nestor’s Palace at Pylos, 2006). 

A Pylos il palazzo di Nestore (rinvenuto nel 1939) era un luogo dove si celebravano importanti feste, anche pubbliche, come testimoniano sia i numerosi reperti (nelle dispense che ospitavano cibi e vini) che la letteratura omerica: 
Con Telemaco, i figli e i generi Nestore si avviò alla sua splendida dimora, e in ordine si adagiarono sui troni e sugli scanni; il vecchio re riempiva ad essi coppe di prezioso vino invecchiato undici anni, che dall’urna piena la dispensiera aveva attinto, e onorava con libagioni, pregando supplichevole, Atena la possente figlia di Zeus. Dopo che ciascuno ebbe bevuto e pregato, si ritirarono nelle proprie stanze.
(Odissea, III, 456-67, elaboraz. della trad. di P. Maspero).

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