Passa ai contenuti principali

L’Inferno secondo Voltaire

Enfer, infernum ovvero luogo sotterraneo: i popoli che seppellivano i morti li mettevano in luoghi sotterranei, e la loro anima ci stava dunque anche lei. Tale fu la prima fisica e metafisica degli egiziani e dei greci (da Voltaire, Dizionario filosofico, Mondadori 1968).

Autoritratto all’inferno, Edward Munch, via Wiki commons

I greci fecero di queste cantine un vasto regno, che assegnarono liberamente a Plutone (Ade) e sua moglie Proserpina (Persefone). Assegnarono loro anche tre consiglieri di Stato e tre donne di servizio chiamate Furie, tre Parche, per filare dipanare e troncare i fili delle vite degli uomini; dei tre consiglieri, Minosse, Eaco e Radamanto l’uno giudicava la Grecia, l’altro l’Asia Minore e il terzo l’Europa. E siccome ogni eroe aveva il suo cane per guardargli la casa, si diede a Plutone un cagnaccio con tre teste, perché nel suo regno tutto andava per tre.

I poeti che avevano inventato questi inferni furono i primi a farsene gioco. Virgilio ora ne parla con serietà nell’Eneide, ora ne parla con disprezzo nelle Georgiche (II, 490 ss.):
Felix qui potuit rerum cognoscere causam,
Atque metus omnes et inexorabile fatum
Subiecit pedibus, strepitumque Acherontis avari!
(Felice colui che ha potuto penetrare le leggi della natura, e mettersi sotto i piedi i vani pregiudizi e i terrori, lo Stige, l’Acheronte e tutto il resto).
Così a Roma si declamavano in teatro questi versi della Troade (coro del secondo atto), cui applaudivano ventimila spettatori:
... Taenara et aspero
Regnum sub domino, limen et obsidens
Custos non facili Cerberus ostio,
Rumores vacui, verbaque inania,
Et par sollicito fabula sommio.
(Le porte e il regno di Plutone, la soglia fatale e il feroce Cerbero, sono vuote parole, favole per i bambini, cose simili a un importuno sogno).
Lucrezio, Orazio si esprimono con la stessa energia; Cicerone, Seneca parlano allo stesso modo in venti passi. L’imperatore Marco Aurelio ragiona ancor più da filosofo (VIII, 62):
Colui che teme la morte, teme o di essere privato di ogni sentimento, o di provare delle altre sensazioni. Ma se tu non avrai più sentimento, non sarai più soggetto a nessun dolore; e se hai sensazioni di altro genere, sarai un’altra creatura.
Tuttavia, nella stessa epoca in cui Cicerone diceva pubblicamente: “Non c’è più nemmeno una vecchierella che creda a queste sciocchezze”, Lucrezio dichiarava che quelle idee suscitavano tuttora una grande impressione sugli animi, e si era assunto la missione di distruggerle:
Se almeno si vedesse una fine alla propria sventura, si sopporterebbe la propria pena e si avrebbe qualche punto d’appoggio per resistere ai terrori religiosi e alle minacce dei poeti. Ma ora non possiamo farci nulla, finché persiste la paura di dover affrontare eterni castighi dopo la morte (I. 108 ss.).

leggi anche: Sull’epicureismo nel De rerum natura

Quindi risulta che tra il popolo gli uni ridevano dell’inferno, gli altri ne tremavano e non cessavano di far sacrifici a questi dèi infernali, e più sono sventurati, più sono devoti (III, 54).
Molti filosofi, che non credevano per conto loro alle storie degli inferi, volevano però che il popolo fosse tenuto in freno per mezzo di queste credenze. Così Timeo di Locri, o lo storico politico Polibio che scrisse:
L’inferno, inutile ai savi, è necessario all’insensata plebe.
È abbastanza noto che la teologia giudaica del Pentateuco non parlò mai di inferno, e che gli ebrei tutto sommato non furono mai tenuti a credere in una vita futura. Gesù confermò invece l’antica teoria, non quella dei poeti pagani né dei sacerdoti egiziani, ma quella che poi divenne la base del Cristianesimo e che noi dobbiamo solo ammettere: un regno dei giusti che sarebbe venuto, e un inferno che non avrebbe mai avuto fine.

Egli disse chiaramente a Cafarnaum in Galilea:
Colui che chiamerà pazzo un suo fratello, sarà condannato alla gehenei eimom, gehenna del fuoco.
La gehenna di Ennom era una valle dove nei tempi passati si bruciavano le vittime a Moloch, e questa locuzione gli servì per indicare il fuoco infernale. E disse ancora, sulla via di Gerusalemme: ‘(...) E vi sarà pianto e stridor di denti quando voi vedrete Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti, e voi resterete cacciati fuori’.

Malgrado le altre dichiarazioni positive del Salvatore del genere umano le quali assicurano la dannazione eterna di chiunque non sarà della sua Chiesa, Origene e alcuni altri non hanno creduto all’eternità delle pene. Anche i sociniani (dottrina antitrinitaria del Cinquecento) non ci credono; luterani e calvinisti invece, per quanto siano fuori dalla Chiesa, ammettono un inferno senza limiti.

Signori miei, non tutto il mondo è fatto di onesti filosofi. Aggiungerò una piccola esortazione a questi intellettuali che negano chiaro e tondo l’inferno nei loro scritti: predicate pure voi, se vi pare, che l’inferno non esiste e che l’anima è mortale. Per parte mia, io mi sgolerò a gridare che chi mi deruba sarà dannato per sempre, come quel curato di campagna che, essendo stato vergognosamente derubato dal suo gregge, disse loro dal pulpito: Davvero non so cosa gli è venuto in mente a Gesù Cristo, di morire per delle canaglie come voi!

Commenti

Articoli correlati