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Nocte volant: le streghe secondo Ovidio

Sunt avidae volucres... Vi sono uccelli ingordi, certi uccelli notturni simili al gufo o al barbagianni, chiamati striges a stridendo, da quel verso stridulo che emettono di notte. La credenza che vuole la strix simile alla lamia di cui parla Orazio (Ars Poetica, v. 338) ha rivestito questi uccelli di una funesta e longeva popolarità.

Uno stralcio da Ovidii Opera, vol. 2, G5r harpies (striges), 1477. Le annotazioni a lato sono di Oswald von Eck e sono datate tra la prima metà del 1540 e il febbraio dell'anno successivo. Via Special Collection University of Leeds Library

Ovidio, Fasti, VI, vv. 131-40:
grande caput, stantes oculi, rostra apta rapinis;
canities pennis, unguibus hamus inest;
nocte volant puerosque petunt nutricis egentes,
et vitiant cunis corpora rapta suis;

Il loro nome è “streghe”

Hanno un gran capo, occhi immobili, rostro rapace, penne bianche e artigli uncinati. Volano di notte e se trovano un bambino lasciato incustodito dalla nutrice si accostano alla culla, ne traggono il corpicino e lo guastano (vitiant). E si dice che succhiano col becco le viscere nutrite di latte e si riempiono il ventre con il sangue succhiato, e il loro verso risuona terrificante nella notte.
carpere dicuntur lactentia viscera rostris,
et plenum poto sanguine guttur habent.
est illis strigibus nomen; sed nominis huius
causa quod horrenda stridere nocte solent [...]

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