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“Svolgimento spirituale” di Benedetto Croce

La storia è un “fenomeno di ardimento”. Il Croce filosofo e critico letterario si avvicina alla storia e viene affascinato dall’accuratezza del suo metodo: scrupoloso, sistematico, etico e apertamente onesto. Inizia a frequentarla per certe ricerche su materiale “di prima mano” che gli valgono la pubblicazione nel 1891 (anno molto prolifico per l’intellettuale abruzzese) di uno studio sui teatri di Napoli tra xv e xviii secolo: questo rapporto diretto con le fonti gli vale a sviluppare anche il «disgusto per l’erudizione cieca» per la “bolsaggine” di certi commentatori e scolastici; in un momento in cui, in Italia, il metodo storico rappresentava una sorta di «bisogno nazionale» e le nuove generazioni sentivano urgente la necessità di reinterpretare tutta intera la storia, politica e letteraria, del nostro paese secondo criteri più moderni.

Benedetto Croce nel suo studio, Napoli 1949, foto di Herbert List, via Wikicommons
Il metodo storico, non lo si direbbe oggi, fu una reazione di onestà e di giovinezza.

La storia è un’arte

Fu un professore emerito dell’Università di Pisa (Pasquale Villari, Napoli 1827-Firenze 1917), poi dal 1884 senatore della Repubblica per nomina della Regia accademia delle scienze, ad «agitare» (il termine richiama un certo grado di provocazione) la questione se la storia fosse un’arte o una scienza; Benedetto Croce ne è incuriosito, «desideroso di acquistare maggiore coscienza di quello che faceva»; la risposta gli arriva «come un lampo», dopo alcuni approdi insoddisfacenti:
La storia non può essere scienza, ma deve essere arte; perché la scienza è dell’astratto, e la storia è, come l’arte, del concreto: individualista! La storia differisce dall’arte solo in quanto questa rappresenta il possibile, la storia il reale.
Ed è attraverso queste idee, formulazioni anche polemiche, approfondimenti e “scomposizioni” che si viene formando il sistema della «filosofia come scienza dello spirito» già in nuce nell’Estetica.

La concordia delle cose

Un sistema troppo astratto, furono alcune critiche: un’accusa paradossale per chi, come primo atto filosofico, aveva anzi protestato contro l’astrattismo dell’intelletto che aveva fatto della storia una scienza arida e vuota; la storia è anche un’intuizione, e l’uomo vi sta, nella sua completezza, in divenire con essa. La filosofia che vi soggiace è hegelianamente quella «del senso comune», un buon senso ingenuo, ordinato e armonico, unica arma contro «gli arbitrii dello scienziato e le blandizie della religione».

Ai positivisti Croce tributava una sostanziale «ignoranza storica» e del positivismo (in particolare quello italiano) ebbe una opinione a dir poco sprezzante: una «moda smodata» che lo «offendeva» intellettualmente, imprecisa nella citazione delle fonti, spesso nient’altro che materiale di second’ordine e «libercoli da dilettanti», nonché espressa in una «fraseologia da mediconzolo di provincia».

Fu la spinta necessaria affinché un’intera generazione se ne affrancasse, e non solo in Italia: in Francia si virò in direzione psicologica e spiritualista, come sui valori dello spirito era fondata la “rinascita” tedesca, per essere venata di teismo nei paesi anglosassoni. In Italia la reazione antipositivista (e di tutte le sue derivazioni “larvate” come certo pragmatismo o “ideativismo”) fu la storia, la «reazione del concreto e del reale».

L’ombra di Croce

Ed è proprio a partire dallo storicismo di Croce – e dal suo antipositivismo – che Ernesto De Martino sviluppa tra gli anni Quaranta e Sessanta la radicale critica all’etnologia positivista, il principale errore della quale consisterebbe per l’antropologo nella pretesa di comprendere e studiare le altre culture assumendo per scontata quella “datità” del reale che è invece un prodotto specifico (storico e storicizzabile) di quelle stesse culture; e alla quale lo studioso opporrà la sua nota posizione definita “etnocentrismo critico”, ovvero il riaffermare la propria appartenenza culturale ma non dogmaticamente, bensì per «ampliare il nostro orizzonte storiografico».

Tuttavia lo storicismo «radicalmente immanente» di cui fu fermo sostenitore Croce lo condusse presto a negare la legittimità teoretica di una “storia della religione” (diremmo oggi: delle religioni) come scienza storica specifica, nonché la validità storiografica stessa del metodo comparativo; una disciplina del genere non aveva per Croce ragione d’esistere poiché la religione (o le religioni) rappresentavano una fase “infantile” dell’umanità destinata a essere superata dalla filosofia. Il suo storicismo filosofico e “assoluto” che rifiutava qualsiasi forma di metafisica finiva con il negare alla religione qualsiasi valore e consistenza autonomi, di fatto impedendo per i primi decenni del XX secolo, con il peso che ebbe negli ambienti colti, la formazione in Italia di cattedre di Storia delle religioni.

Storia delle religioni: grazie a Croce e malgrado Croce

Raffaele Pettazzoni stesso (Il metodo comparativo, in “Numen”, 6, 1959, pp. 4-5) rileva che per «Croce e la sua scuola [...] la religione non è un valore autonomo dello spirito, e la storia della religione non ha consistenza propria, risolvendosi nella storia del pensiero e della vita morale» (da Le condizioni presenti della storiografia in Italia, in “La Critica”, 1929). Qualche anno più tardi uno dei più significativi allievi del metodo pettazzoniano, Angelo Brelich, riconosce, in un celebre articolo (Perché storicismo e quale storicismo – nei nostri studi?, in “SMSR”, XLI, 1970, pp. 7 ss.), che «senza la pressione crociana sulla cultura italiana del tempo, Pettazzoni non avrebbe insistito tanto sul carattere storico della sua concezione» e non sarebbe stato spinto ad approfondire «le questioni di metodo fino al punto di arrivare a uno storicismo suo, tutt’altro che crociano».


Il “cammino dello spirito” di Benedetto Croce

Tra il 1886, data delle sue prime pubblicazioni, al 1892 Benedetto Croce si dedica a studi «di pura erudizione»; dal 1893 al 1896 sviluppa le prime riflessioni, anche polemiche, sulla “storia come arte”; dal 1895 al 1899 si interessa al Marxismo e agli studi di De Sanctis. Nel 1900 esce l’Estetica, pubblicata in volume completo nel 1902 e comprendente tutto il suo sistema filosofico. Nel 1903 si dedica al «risveglio degli italiani» con la Critica e del 1905 è la prima edizione della Logica. Pressoché contemporanei sono i saggi sulla “filosofia della pratica” (Riduzione, 1907-08) a cui si aggiunge una notevole mole di altre pubblicazioni, recensioni, conferenze, trattatelli eruditi e corrispondenza privata che ne hanno fatto una grande figura del Novecento che, nonostante la soggezione suscitata dalle sue posizioni, aveva «una parola buona per tutti, scienziati, filosofi, filologi, professori, pedagogisti, preti, modernisti, poeti, socialisti, economisti, artisti...».

Tratto da: G. Prezzolini, Benedetto Croce, Ricciardi, Napoli 1909, pp. 3-32.
Altri riferimenti: F. Dei, Antropologia culturale, il Mulino, Bologna 2012, pp. 94-5; J. Ries, La storia comparata delle religioni e l’ermeneutica, Jaca Book, Milano 2009, p. 56; A. Donini, Raffaele Pettazzoni e gli studi storico-religiosi in Italia, in Aa.Vv., R. Pettazzoni e gli studi storico-religiosi in Italia, Bologna 1969, pp. 54 ss. Cfr. anche P. Xella, M. G. Lancellotti, Angelo Brelich e la storia delle religioni: temi, problemi e prospettive, Atti del convegno di Roma, Cnr, 3-4 dic. 2002, Essedue, Roma 2005, p. 41.

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