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Salve o sacro Priapo, dio delle cose

I suoi luoghi preferiti sono dove pascolano capre e pecore e dove si ode il ronzio delle api; antica divinità guerriera originaria delle colonie greche dell’Asia Minore, a Lampsaco è considerato figlio di Afrodite e Dioniso, e vi è venerato più di qualsiasi altro dio (Pausania, Descrizione della Grecia, 9.31.2). Altrove è detto figlio di Hermes (Igino, Fabulae, 160) o padre e figlio di Hermes allo stesso tempo (Epigrammata Graeca ex lapidibus collecta, 817).

Francisco Goya, The Sacrifice to Priapus (Il sacrificio a Pan), 1771, via Wiki Art

Priapo asiatico, danzatore e guerriero / Il dio grandioso e grottesco / Godere la vita di un giorno / Il rosso custode degli orti / Piccoli numi di un dio campestre / Corone dorate e un invito al tempietto 

Ultimo aggiornamento: 5/10/2023

La letteratura latina lo ritrae lascivo e spudorato al punto di aver attentato persino alla verginità di Vesta, addormentata dopo un banchetto, prima che il raglio di un asino la svegliasse (Ovidio, Fasti, Libro VI).

Difficile evitare i suoi assalti: in un’altra occasione (Luciano di Samosata, Dialoghi marini, degli dèi e delle cortigiane) è il bel Dioniso oggetto delle sue attenzioni dopo un lauto banchetto, suscitando l’ilarità di Apollo il quale, se mai il dio buontempone dalla libidine incontrollabile osasse avvicinarglisi, promette di servirsi del suo infallibile arco.

Priapo asiatico, danzatore e guerriero

Ma la sua origine è antica, ed è da ricercarsi presso le colonie greche dell’Ellesponto, gli odierni Dardanelli, dove si celebravano sacrifici di asini in suo onore e dove fu anche dio guerriero: lo riporta Luciano (De Saltatione o Sulla danza, 21), che lo nomina come figlio dei Titani o dei Dattili e riferisce (unica attestazione a noi nota) di una connessione tra Priapo e Ares, il quale sarebbe stato allevato da Priapo stesso ed educato a ballare prima ancora che a combattere; rientrerebbe così nella schiera di quegli esseri divini educatori di dèi come Chirone per Asclepio, Sileno per Dioniso, Pallas per Atena e così via.

La sua nascita è raccontata, in uno scolio ad Apollonio Rodio, come una specie di aborto: Afrodite avrebbe partorito un essere talmente mostruoso – con la lingua lunga, il ventre pronunciato e un enorme phallos che cresceva al posto della coda – che ella lo respinse. La causa di questo parto abnormale dovette essere, piuttosto banalmente, l’ira o l’invidia di Era, che toccò la bellissima dea con mano incantatrice quando era incinta. Rinnegato e abbandonato, Priapo fu trovato da un pastore e da allora è un dio “degli umili” che protegge orti e campi e favorisce la fertilità delle piante e degli animali.

Il dio grandioso e grottesco

A Roma, Priapo sembra perdere la sua connotazione “seria” per acquisire definitivamente quella di una divinità buffa e stravagante particolarmente venerata “dal basso”, dai popolani, dai contadini e dalle prostitute; in particolare è descritto come protettore degli orti contro i ladri e i malintenzionati; non dimenticando che hortus ha in latino un doppio senso licenzioso, come ad esempio nella allusiva Legge di Priapo:

Qui sotto è scritta in due versi
la legge che Priapo, a quanto si dice,
stabilì per il ragazzo:
“Tu puoi prendere impunemente ciò che è nel mio orto
se ci darai ciò che ha il tuo orto” (Carmina, V)

Nella VII egloga (Virgilio, Bucoliche) Melibeo rievoca la gara di canto tra due giovani pastori arcadi, Coridone e Tirsi, di cui un giorno per caso è stato testimone. Il dio è nominato da Tirsi, ai vv. 33-36:

Ti basti, o Priapo, attenderti ogni anno un boccale di latte e queste focacce; di un orto modesto sei custode. Per il momento ti abbiamo fatto di marmo; ma, se i parti completeranno il gregge, tu diventerai d’oro.

I Carmina erano già noti nella seconda metà del XIII secolo e diventano oggetto di critiche e commenti da parte di illustri letterati come il Bembo e Poliziano.

Si tratta di epigrammi scritti probabilmente da mani diverse e oggetto di svariati rimaneggiamenti; le molte lacune lasciano un significato oscuro ad alcune allusioni che ci sfuggono: alcuni sono di una retorica povera e stereotipata, che probabilmente non avevano alcuna velleità artistica o aulica tanto da sembrare improvvisati, altri di stile più aggraziato, al punto che li si è voluti attribuire a nomi celebri della letteratura latina come Catullo e Tibullo, Virgilio e Ovidio.

In particolare, alcuni Carmina furono attribuiti a Virgilio dagli umanisti del XV secolo sulla base di notizie tratte da fonti antiche, tra cui Plinio; la testimonianza che sarebbe confermata in delle lettere scritte da Ovidio durante l’esilio, secondo il quale Virgilio avrebbe composto poesie erotiche.

Godere la vita di un giorno 

Tuttavia la natura dei Priapea sarebbe completamente diversa dai componimenti pseudovirgiliani, essendo questi ultimi destinati a essere pubblicati mentre i primi erano scritti in maniera improvvisata, magari nell’occasione di una visita al tempio: diffusissimi a Roma nel primo secolo dell’Impero, in collezioni anonime o più semplicemente destinati a essere apposti sulle statuette di Priapo che ornavano i quadrivi delle strade, le fontane o i giardini delle splendide ville fuori città; si dice che persino nei celebri giardini di Mecenate, il quale si compiaceva di una poesia dallo stile libero e gioviale, in un sacello vi fosse una statuetta del dio di Lampsaco scolpito in un tronco di fico (Orazio, Satirae, I, 8).

Ma, mentre i ricchi signori, gli studenti e gli uomini d’arte si dilettavano di questi versi licenziosi e mordaci, più spesso i suoi santuari erano poveri, ricavati da pastori e contadini nelle campagne non solo attorno a Roma, ma anche nelle province; fino a che, “nella barbarie medievale” (Calì, 1894), scompare l’uso – licenzioso ma non esclusivamente popolare – di apporre versi alle statue e alle pareti dei templi, e quella vena di umorismo si inaridisce; le poesie medievali dedicate al dio Priapo sono risultate apocrife.
 
Una donna dipinge una statua ritenuta essere di Priapo: La pittrice, affresco da Pompei, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, via Wiki Commons

Il rosso custode degli orti

Il Corpus priapeorum è inizialmente composto da 80 carmi, ai quali i raccoglitori ne hanno aggiunti altri attribuiti a Orazio, Ovidio, Marziale e Catullo aventi ad argomento il dio Priapo, insieme alle tre Priapeia della Appendix Virgiliana, per un totale complessivo di 95. Il tono è scherzoso (ludens, II) e il poeta si schermisce con studiata modestia: questi versi sono degni di un campicello, non certo di un libro («horto carmina digna, non libello», ivi), vergati senza troppo impegno sulle pareti del tempio di Priapo («templi paretibus tui notavi», ivi).

Da queste poesie possiamo trarre delle informazioni sul culto: Priapo è «ruber hortorum custos», «incaricato» (XXIV) dal contadino ad essere il guardiano di orti e giardini nei quali era ospitato in statue dipinte di rosso (I, Proemio), il più delle volte ricavate con arte rudimentale da un grezzo pezzo di legno:

Non sono stato scolpito né da Prassitele né da Scopa né levigato dalla mano di Fidia, ma un rustico contadino mi ha sgrossato e mi ha detto “tu sei Priapo” (X).

Oppure, altrove, «scolpito con rustica arte da un secco pezzo di pioppo» (LXXXV, Ai viandanti), o «ricavato con una rustica ascia da un secco pezzo di quercia» (LXXXVI, Rubate al mio vicino). È un dio modesto, dice di se stesso essere «la più piccola divinità tra gli dèi», il «custode di legno delle zucche» (LXIII). Il suo fallo rigido troneggia senza pudore perché un dio non deve nascondere le sue insegne, né Giove deve vergognarsi della sua folgore né Nettuno di esibire il suo tridente né Marte la sua spada o Atena la sua lancia... Ciascun dio ha il suo attributo, quello di Priapo è il suo imponente organo. Che è anche un’arma, e delle più temibili: egli è il guardiano degli orticelli, che spesso si trovavano in luoghi isolati fra la boscaglia e i cespugli, dove le sue statue sono poste a protezione contro i ladri perché, se qualcuno tentasse di entrarvi e saccheggiare, «is me sentiet esse non spadonem», «sentirà che non sono un castrato» (XV).

Questo ruolo sembra essere svolto dal dio con una serietà che non si riscontra negli altri campi d’azione: «non crediate che io dica cose per scherzo», ammonisce i malintenzionati (XLIV, Ai ladri). Dal canto suo, però, anche il ladro si affida a Priapo e ne cerca la complicità, invocandolo in aiuto ed esortandolo a non riferire a nessuno di averlo visto rubare delle mele sulla Via Sacra (XXI).

Piccoli numi di un dio campestre

Allusioni e doppi sensi, disprezzo della castità e della pudicizia, tutte le più candide e nobili virtù vituperate e dileggiate attraverso un linguaggio esplicito a volte persino disturbante; la morale che sottintende sembra non avere alcun fine se non l’appagamento, la sazietà, la beffa.

Le donne hanno con Priapo un rapporto ambiguo e qualche lettrice potrebbe sentirsene offesa; c’è chi si copre di un muro di vergogna e indignazione e grida allo scandalo di fronte all’imponenza degli attributi del dio e chi, invece, non ha timore di dissimulare il proprio desiderio e può lasciarsi andare alla spensieratezza della bellezza e della gioventù. Durante le feste notturne dedicate al «dio della lussuria» («deo salaci», XXXIV) potevano essere assoldate delle ragazze che soddisfacessero tutti «finché ne avessero voglia», e venivano poi offerti al dio tanti membri di legno di salice quanti uomini fossero stati “sbrigati” (ivi). Tuttavia Priapo svolge anche una funzione difensiva nei confronti delle donne, tenendo lontani stupratori e assassini consentendo loro di andare sicure nei boschi (Inno a Priapo).

Oltre alle offerte di piccoli oggetti, a Priapo piace che gli siano dedicati nel suo luogo di culto «versi giocosi» (XLI, Ai visitatori) meglio se improvvisati, perché lui ha disprezzo per gli eruditi («leggo libri, ma raccolgo mele», LXVIII); salvo poi prendersi gioco di un contadino che, con i suoi versi pessimi, ha fatto seccare un albero di melo un tempo ricco di frutti (LXI, Le poesie pesano). In un altro carme (XLVII, A chi non dedica versi) minaccia i devoti inadempienti di lasciarli inappagati nel desiderio o di dotarli di un vistoso e gravoso paio di corna.

Riceve di buon grado anche offerte di cibo e soprattutto mele, frutto “povero” che può permettersi anche chi non ha il grano per offrire spighe o una vigna per un grappolo d’uva:
Proteggi, o Priapo, con diligenza queste mele e minaccia i ladri con il tuo emblema fallico (LXXII, Preghiera).

L’offerta di mele a Priapo, insieme ad altri frutti modesti e campestri, è attestata anche nella Grecia ellenistica; così in un epigramma di Filippo, dove il dio è invocato con l’epiteto φιλοδίτης, “amico dei viandanti”:

Ῥοιὴν ξανθοχίτωνα, γεραιόφλοιά τε σῦκα,
καὶ ῥοδέας σταφυλῆς ὠμὸν ἀποσπάδιον,
μῆλὸν θ᾽ ἡδύπνουν λεπτῇ πεποκωμένον ἄχνῃ,
καὶ κάρυον χλωρῶν ἐκφανὲς ἐκ λεπίδων,
καὶ σίκυον χνοάοντα, τὸν ἐν φύλλοις πεδοκοίτην,
καὶ πέρκην ἤδη χρυσοχίτων᾽ ἐλάην,
σοί, φιλοδῖτα Πρίηπε, φυτοσκάφος ἄνθετο Λάμων,
δένδρεσι καὶ γυίοις εὐξάμενος θαλέθειν.


Una mela granata dalla gialla
veste, un fico dalla buccia rugosa,
un tralcio ancora verde
strappato da una rosea vite, e un pomo
dal soave odore coperto di lieve
peluria, ed una noce nella verde
scorza socchiusa, e un fresco cocomero
colto a terra tra le foglie, e un’oliva
quasi matura con la buccia d’oro,
tutto ciò, o Priapo, amico dei viandanti,
ti dedicò Lamone il giardiniere,
pregandoti di dare forza agli alberi
ed alla sua salute.

(Antologia Palatina, traduzione di Salvatore Quasimodo, Oscar Mondadori, Milano, 1ª ed. 1968) qui il testo originale.)

Altrove, nei Carmina Priapea, si registra il sacrificio, ma controvoglia, di un maiale (LXV) colpevole di aver danneggiato il giardino perché la porta della porcilaia era rimasta aperta, quando proprio Priapo avrebbe dovuto presiedere affinché l’incidente non si verificasse. 

Alle offerte di mele si aggiungono quelle di focacce sacrificali di farro, e durante la cerimonia se ne spargono le parti sul fuoco (LXX, I cani mangiano le offerte). In cambio egli dona, oltre alla sua protezione divina, fecondità e abbondanza, spesso rappresentato recante doni e cesti pieni di frutta.

Incisione di una statua di Priapo in metallo, in Thesaurus antiquarum gemmarum, Museo Odescalchi, 1751, via Wiki Commons

Corone dorate e un invito al tempietto

Le sue statue sono decorate con coroncine dorate (XL, Priapo riceve una corona) o colorate (LXXXV) e ghirlande (L, Richiesta di una grazia) a cingergli il pene, oppure pampini e fiori freschi intrecciati sul capo (LXXXIII); in primavera è adornato di rose e fiori di campo, papaveri e viole, in estate di spighe, in autunno di mele e in inverno di olive mature (LXXXV), ma teme la stagione fredda quando la sua effigie lignea può finire nel fuoco del camino, qualora il contadino non avesse di che altro riscaldarsi (LXXXIV, Timori di Priapo).

Priapo ha avuto anche una azione terapeutica, ma solo, sembra, per le affezioni legate agli organi genitali e al pene in particolare. Nel carme XXXVII, Tavoletta votiva, è riportato un (possibile) ex voto descritto con l’effigie di un membro, la parte malata e poi sanata dalla grazia del dio («deus rogata fecit»); a lui ci si rivolge perché è plausibile che la gente semplice avesse timore o soggezione di chirurghi e dottori o dei «troppo grandi dèi specifici della medicina, come Febo o il figlio di Febo» (Apollo, Asclepio).

I luoghi del suo culto sono tempietti umili e senza pretese di grandiosità, dove il dio risiede e da dove invita i passanti a entrare (XIV, Invito al tempietto):

Qui, qui, chiunque tu sia, non credere di poter
evitare di passare presso il tempio austero
del dio lascivo.
E se di notte ti accompagna una ragazza,
non vi è motivo perché tu debba aver paura di venire da
me. Questo rispetto è dovuto ai severi dèi del cielo. Noi
siamo dei perdigiorno, piccoli numi di
un dio campestre e, abbandonato ogni pudore, ce ne
stiamo con i coglioni al vento sotto gli occhi di Giove.
Perciò qui entri pure chiunque, anche se è ancora tutto
sporco della nera fuliggine del bordello.

La raccolta si conclude con una invocazione, un Inno scanzonato alla gioia e alla vita:

Salve o sacro Priapo dio delle cose,
Salve, dammi la florida gioventù,
fa’ sì che il mio membro procace
piaccia ai bei ragazzi e alle belle ragazze
e che i miei frequenti giochi e scherzi
facciano sparire le preoccupazioni
che rovinano l’animo.
E che non debba troppo temere la molesta
vecchiaia o la paura della triste morte che ci trascinerà alla dimora invidiosa dell’Averno dove il re rinchiude le ombre dei morti e dove si dice che nessuno mai ritorni.
Salve o sacro Priapo dio delle cose.
Raccoglietevi qui tutte assieme, ragazze che onorate
il sacro bosco e le sacre acque, venite qui e cantate con voce melodiosa al potente Priapo:
Salve o sacro Priapo dio delle cose.
Poi date mille baci al suo membro e cingetelo con corone profumate e di nuovo cantate in coro
Salve o sacro Priapo dio delle cose.
[...]
Dite tutte in coro: O Priapo, siaci favorevole. Salve o sacro Priapo dio delle cose.

O Priapo, potente amico, salve, sia che tu voglia essere detto il creatore del mondo o della sua natura stessa, o Pan, salve.
Perché per la tua forza è creato tutto ciò che riempie la terra e l’aria e il mare.
Perciò salve o santo Priapo, salve.
Se tu lo chiedi lo stesso dio Giove depone i suoi fulmini
crudeli e spinto dalla lascivia lascia le sue brillanti dimore.
Tu sei onorato dalla buona Venere, dal fervido Cupido,
dalle tre sorelle Grazie, da Lieo, dispensatore di gioia.
Perché senza te neppure Venere ci soddisfa, né le Grazie
sono graziose, né piacciono Bacco e Cupido.
O Priapo, potente amico, salve.
Ti invocano nella loro preghiera le vergini pudiche perché tu sciolga il nodo della loro cintura troppo a lungo legata; te invoca la sposa perché il marito abbia spesso il membro duro e sia sempre potente.
salve o sacro Priapo dio delle cose.

Calì C., Studi su i Priapea e le loro imitazioni in latino e in volgare, Giannotta, Catania 1894; Canetta I., Muse e ninfe nella settima ecloga di Virgilio, in “Eikasmos”, XIX, 2008, pp. 209-33.
Kerényi K., Gli dèi e gli eroi della Grecia, il Saggiatore, Milano 2002; Radford R. S., The Priapea and the Vergilian Appendix, in “Transactions and Proceedings of the American Philological Association”, 52, 1921, pp. 148-77.

Le Bucoliche di Virgilio possono essere consultate qui in italiano. Leggi anche J. Uden, The Vanishing Gardens of Priapus, HSCPh 105, 2010, pp. 189-219. La traduzione dei carmi è di E. Mori, scaricabile su Ex Meis Libris.

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